LA CRISI DEL 1929
LA GRANDE CRISI
CROLLO DELLA BORSA DI WALL STREET
Nel 1929 gli Stati Uniti d'America entrarono in una grave crisi che durò fino al 1933.
Il 24 ottobre del 1929, giornata nota come il giovedì nero, si verificò un crollo delle quotazioni dei titoli alla borsa di New York, situata a Wall Street. Coloro che detenevano dei titoli, di fronte alla loro perdita di valore, iniziarono a venderli in modo massiccio facendo così crollare ancora di più le quotazioni, tanto che il martedì successivo, noto come il martedì nero, si ebbe il crollo della Borsa: nel giro di pochi giorni i titoli avevano perso il 40% del loro valore.
CONSEGUENZE DELLA CRISI
Con il crollo della borsa iniziò un periodo denominato grande depressione, ovvero un periodo di grave crisi caratterizzato dalla chiusura di tantissime fabbriche e da una disoccupazione allarmante.
La crisi, inoltre, si estense a tutti i paesi occidentali, soprattutto quelli più progrediti.
ORIGINI DELLA CRISI
In realtà il crollo della borsa di Wall Street non fu la causa della grande crisi del 29: le cause della crisi andavano cercate lontano.
Tra il 1920 e il 1929 negli Stati Uniti si ebbe un enorme sviluppo economico e una forte espansione della produzione industriale. Tutto ciò fu favorito:
- dalla pubblicità che attraverso i giornali, le radio e i manifesti inneggiava agli acquisti;
- dalla diffusione delle vendite a rate.
Furono questi gli anni del mito americano: l'America viveva un momento di grande ottimismo e fiducia. Sembrava che la crescita non dovesse fermarsi più.
Proprio questo ottimismo spinse molti, attratti dai crescenti profitti delle industrie, ad investire in titoli azionari grazie anche al ricorso al credito delle banche che veniva concesso con estrema facilità. L'aumento della domanda dei titoli portò ad un aumento delle loro quotazioni.
Ben presto però, l'acquisto di titoli azionari divenne esclusivamente un'operazione di speculazione. Gli investitori prendevano in prestito i soldi necessari per l'acquisto delle azioni, i titoli acquistati venivano rivenduti ad un prezzo maggiorato in modo da poter restituire le somme prese a prestito ed avere un consistente guadagno. Si iniziò, pertanto, ad acquistare con il solo scopo di rivendere senza tenere conto della solidità delle aziende che emettevano il titolo con la conseguenza che le quotazioni di borsa non rispecchiavano l'effettivo valore delle aziende che emettevano tali titoli.
Ad un certo punto ci si cominciò a rendere conto che il boom era alla fine. Le banche iniziarono ad aumentare il tasso di interesse sui prestiti concessi agli speculatori e cominciarono a chiedere il rientro dei prestiti a brevissimo termine. Iniziò così un'inversione di tendenza e molti iniziarono a vendere i propri titoli. Fu così che si giunse al famoso giovedì nero.
I risparmiatori presero d'assalto le banche per poter ritirare i loro risparmi.
Coloro che avevano investito in borsa rimasero senza risparmi, i consumi iniziarono a ridursi e le aziende si trovarono con una produzione eccessiva rispetto alle richieste di mercato. Alla crisi finanziaria si affiancò una crisi da sovrapproduzione che portò alla chiusura di molte aziende e a livelli di disoccupazione allarmanti.
L'eccesso di produzione interna non riusciva a trovare sbocchi neppure in Europa a causa dei dazi doganali. Le imprese, per essere competitive con quelle straniere, abbassarono i prezzi al punto da non rendere più conveniente alcune produzioni.